Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 3 marzo 2015
A quattro anni dall’intervento della coalizione internazionale per forzare il rovesciamento di Gheddafi, il governo sta spingendo per un nuovo intervento militare in Libia.
Al pubblico l’idea viene presentata come contromisura alla crescente influenza dei militanti islamici, mostrati come un pericolo anche per l’Italia. In realtà, la spinta all’intervento militare è originata dai cospicui interessi commerciali e petroliferi italiani in Libia, dove l’Italia ha una lungo e sanguinoso passato coloniale. La dimostrazione di forza circa la Libia serve anche a distogliere attenzione dalle crescenti tensioni sociali e politiche nazionali.
Intervistata dal Messaggero il 15 febbraio, il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha reso note le intenzioni del governo: “L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord, per fermare l’avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste. Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5mila uomini, in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l’Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente”, ha detto. “Ne discutiamo da mesi, ma ora l’intervento è diventato urgente”.
La dichiarazione è venuta il giorno dopo che l’Italia aveva ordinato il ritiro di tutto il personale diplomatico dalla Libia. I diplomatici e uomini d’affari provenienti da Gran Bretagna, Stati Uniti e altri paesi occidentali avevano già lasciato Tripoli.
Tre giorni dopo, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha riaffermato che era giunto il momento per una ” forte risposta” in Libia. “Ci troviamo con un Paese con un vastissimo territorio, con istituzioni praticamente fallite e potenziali gravi ripercussioni”.?Venerdì, in Parlamento, Gentiloni ha ribadito la disponibilità dell’ Italia ad intervenire militarmente in Libia.
Da lunedì, navi da guerra italiane stanno pattugliano la costa libica. Ufficialmente, l’operazione “Mare Aperto” è stata dichiarata un esercizio. L’ammiraglio comandante, Pierpaolo Ribuffo, ha dichiarato che non vi era alcuna connessione diretta alla crisi in Libia, ma ha aggiunto: “Ovviamente la presenza di navi in mare significa anche sicurezza, deterrenza e dissuasione.”
Per contro, la stampa riporta, basandosi su informazioni provenienti da esperti della difesa, che le navi da guerra sono pronte ad intervenire, in caso di necessità, per assicurare le installazioni petrolifere offshore dell’ENI.
I media invocano quotidianamente lo spettro di un attacco da parte dello Stato islamico (IS) in Italia. L’anno scorso, un ramo IS aveva proclamato un califfato nella città costiera libica di Darna, al confine con l’Egitto. Darna si trova, come i media italiani continuamente ripetono, a soli 850 chilometri dall’ Italia.?Secondo i rapporti, in Darna, la milizia si compone di 800 combattenti, di cui 300 avevano già combattuto in Siria contro il regime di Assad.?La forza aerea egiziana ha bombardato la città il 15 febbraio, dopo la decapitazione di 21 cristiani copti; è stato poi riferito che la milizia islamica si è ritirata da Darna.
Sabato scorso, i media italiani si sono diffusi su un documento di 64 pagine, redatto in italiano, che sta circolando in Internet e che incita i musulmani ad aiutare il Califfato a conquistare Roma e Costantinopoli.
La crescita delle milizie islamiche in Libia è il risultato diretto dell’intervento imperialista di quattro anni fa. Darna è nella regione di Bengasi, dove la rivolta contro Gheddafi, finanziata dall’occidente, era cominciata all’inizio del 2011. Per rovesciare Gheddafi, gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e i loro alleati non solo fornirono ai ribelli, comprese le milizie islamiste, supporto aereo, ma anche armi e finanziamenti. L’Italia aveva messo a disposizione le sue basi militari in Sicilia e ha partecipato a numerosi bombardamenti durante quella guerra.
Dominio coloniale italiano
In questo modo l’Italia ha marcato il centesimo anniversario del suo dominio coloniale sul paese. Nel 1911, le truppe italiane invasero quelle che allora erano Cirenaica e Tripolitania, trasformando queste regioni in colonie italiane; ma, durante la prima guerra mondiale, l’Italia perse la maggior parte del suo controllo su quelle regioni.
Il leader fascista Mussolini conquistò di nuovo la colonia e la ampliò, fino ad includere tutto il territorio che oggi è la Libia. A quel tempo più di 100.000 libici furono uccisi per mezzo di fame, terrore, pogrom, rapimenti e attacchi con gas letali, in tutto il Nord Africa, 500.000 persone caddero vittime dell’aggressione imperialista, che si concluse solo con la sconfitta italiana del 1943.
Quando, dopo la seconda guerra mondiale, in Libia fu scoperto il petrolio, il conglomerato petroliero italiano Agip, un predecessore e ora parte dell’ENI, fu il primo ad assicurarsi i diritti di produzione, nel 1959. La Libia possiede le più grandi riserve di petrolio in Africa, e per più di 60 anni, dalla fondazione di ENI, l’Italia ha capitanato lo sfruttamento di tali risorse.
Le nazionalizzazioni condotte da Gheddafi, che era venuto al potere nel 1969 a capo di un colpo di stato di ufficiali dell’esercito che rovesciò il britannico-installato re Idris, interruppero temporaneamente questa bonanza. Ma a partire dal 2008, il governo Berlusconi fu in grado di formare legami con il clan Gheddafi, e il leader libico investì i suoi soldi, non solo in ENI, ma anche in armi, Finmeccanica, Juventus football club e numerose altre imprese italiane.?Fino al 2011, quando Gheddafi è stato rovesciato e il paese è caduto in conflitti tra milizie rivali, l’Italia produceva 300.000 barili di petrolio e di gas al giorno.
L’Italia ha preso parte alla guerra della NATO contro Gheddafi, per difendere i suoi interessi, compresi i propri impianti di produzione e di trasformazione del petrolio. Con la nuova situazione politica in Libia, l’Italia ha cercato subito di stabilire rapporti con il Consiglio di transizione di Bengasi. L’ENI è stata la prima azienda a riprendere ed ampliare la sua produzione in Libia, e l’Italia ben presto riotteneva il 15 per cento del suo fabbisogno di petrolio e gas dal GreenStream, l’oleodotto lungo 516 chilometri che va dalla città libica di Mellitah alla Sicilia. I contratti con il governo libico stipulavano di garantire questi progetti fino al 2047.
Con la nuova guerra civile, tutto questo è stato ora rimesso in discussione. La produzione di petrolio si è praticamente arrestata. Il 15 febbraio, l’Italia, insieme ai suoi diplomatici, ha rimpatriato i dipendenti di alcune società sussidiarie italiane, principalmente sussidiarie dell’ENI.
Il governo Renzi
Oltre agli interessi imperialisti italiani, anche la crisi politica interna sta guidando i preparativi per la guerra in Libia.?Militarismo, terrore e lo sciovinismo anti-immigrati sono progettati per distogliere l’attenzione dalle crescenti tensioni sociali.
Da quando Matteo Renzi, un anno fa, all’età di 39 anni, ha assunto la carica di primo ministro, ha portato avanti attacchi ai diritti sociali e la deregolamentazione del mercato del lavoro. Il paese ha debiti per oltre 2 trilioni di euro (135 per cento del PIL) ed è stato in recessione per anni, con conseguenze terribili. Un intero 28 per cento della popolazione è a rischio di povertà, con una percentuale ancora più elevata al sud del 46 per cento.
Per mantenere il controllo dell’opposizione al suo programma di austerità, Renzi ha manovrato tra le diverse sezioni della borghesia per conquistarle ai suoi obiettivi. Per cominciare, è stato portato al potere dai sindacati e dal SEL (Sinistra, Ecologia, Libertà) di Nichi Vendola. Una volta in ufficio, ha mantenuto la coalizione del suo predecessore, Enrico Letta, con il nuovo centro destra (NCD) di Angelino Alfano, una scissione dal partito di Silvio Berlusconi.
Per far passare la riforma del mercato del lavoro, il Jobs Act, come pure emendamenti costituzionali e riforme elettorali attraverso il parlamento, Renzi ha concluso il cosiddetto patto del Nazareno (dal discorso di Renzi al Partito Democratico a Largo Nazareno a Roma) con Berlusconi.?Il patto ha tenuto fino alla fine di gennaio 2015, quando Renzi ha messo in atto la nomina dell’ex giudice e democristiano Sergio Mattarella, in qualità di presidente della Repubblica contro l’opposizione di Berlusconi.
Le manovre politiche di Renzi hanno prodotto marcate tensioni politiche. Molti politici sono arrivati alla fine della loro pazienza. Il 13 febbraio, dopo veementi scambi verbali in parlamento, è scoppiata una rissa tra SEL e deputati del Partito Democratico, leggermente feriti due parlamentari SEL.
Il SEL si era risentito perché il governo, senza prendere in considerazione le richieste dell’opposizione, ha fatto passare in parlamento le riforme costituzionali ed elettorali durate una sessione notturna da maratona.
Dopo la rissa, tutti i partiti dell’opposizione hanno lasciato il parlamento e hanno boicottato il voto sulle riforme costituzionali, che i deputati del governo hanno passato con 309 voti favorevoli e 2 contrari, nei banchi semivuoti. Insieme all’estrema destra Lega Nord, Forza Italia, il neofascista Fratelli D’Italia e il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, il SEL ha tenuto una conferenza stampa in cui condannava il governo.
Ma il SEL è ancora una volta completamente dietro il governo nei preparativi di guerra contro la Libia.?Ha giustificato questo puntando al presunto crescente pericolo islamista.?Nichi Vendola ha dichiarato che : “È giunto il tempo in cui un grande Paese come l’Italia possa stimolare l’Europa a svolgere un ruolo e tutti quanti noi dare un contributo a quello che sarà un impegno gigantesco e durerà diversi anni: la lotta per sconfiggere Isis ed il disegno folle del Califfato”.
SEL collabora strettamente con Syriza e il primo ministro greco Alexis Tsipras. Nel mese di maggio 2014, partecipò alle elezioni europee, nella Lista Tsipras.
Sia SEL che Renzi stanno cercando sostegno internazionale per un intervento militare italiano in Libia, spingendo verso un mandato delle Nazioni Unite e una coalizione più ampia possibile. Come Renzi ha dichiarato in televisione il 18 febbraio, l’Onu deve fare in modo che “tutti i partecipanti, le tribù locali, i membri dell’Unione africana e dei paesi arabi ed europei” dovranno essere incorporati in un tale intervento.
I preparativi di guerra sono accompagnati da un’ondata costantemente montante di propaganda anti-immigranti.?Migliaia di persone disperate arrivano nei porti italiani, in fuga dalla guerra, il terrore e la povertà estrema prodotta dagli interventi imperialisti in Medio Oriente e Nord Africa.?Ora, il governo sta tentando di equiparare questi immigranti con l’infiltrazione di terroristi.
I profitti dell’estrema destra
La rappacificazione tra SEL e il governo e la propaganda anti-immigranti danno incoraggiamento all’estrema destra.
Sabato scorso, decine di migliaia di persone arrivate da tutta Italia hanno partecipato ad una grande manifestazione a Roma, indetta dalla Lega Nord, ma che comprendeva anche forze apertamente fasciste come Fratelli D’Italia e CasaPound.
La Lega Nord, inizialmente emersa con la sua richiesta per la secessione delle regioni settentrionali più ricche d’Italia, ha cercato di presentarsi come un partito nazionale da quando la leadership è stata rilevata dal 42enne Matteo Salvini. Il loro modello è il Fronte nazionale francese di Marine Le Pen.
La manifestazione si è svolta sotto lo slogan “manda Renzi a casa”. Salvini ha denunciato il primo ministro come “stupido servo dell’UE” e amico del grande capitale, mentre si presenta come il difensore di piccole e medie imprese. Ha attaccato l’euro, Bruxelles e il cancelliere tedesco Angela Merkel, e diffamato gli immigranti definendoli “insetti”.
Marine Le Pen ha parlato in collegamento video con i manifestanti a Roma. Un messaggio di saluto è stato letto anche da Hans-Christian Strache, capo del partito austriaco di estrema destra FPÖ (Partito della libertà austriaco). Nei sondaggi, la Lega Nord è attualmente al 15 per cento, davanti a Forza Italia di Berlusconi. Alle ultime elezioni, nel 2013, aveva ottenuto solo il 4 per cento dei voti.