Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 19 novembre 2014
Le proteste contro la Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro redatta dal primo ministro Matteo Renzi (PD), si stanno intensificando.
Dopo la manifestazione di protesta del 25 ottobre a Roma, alla quale parteciparono quasi un milione di persone, ancora una volta, il 14 novembre, lavoratori e giovani sono scesi in piazza in almeno 25 città.
Uno “sciopero generale e sociale” era stato richiesto dai Cobas, Cub e SB insieme a centri sociali e diverse organizzazioni di studenti, profughi e organizzazioni umanitarie. Uno sciopero generale di otto ore indetto dalla CGIL per il 5 dicembre, sia nel settore pubblico che in quello privato privato, verrà accompagnato da mainfestazioni.
Le proteste del 14 novembre erano dirette contro le politiche economiche del governo e dell’Unione Europea; contro il dilagare delle forme di lavoro precario, contro la crisi degli alloggi e contro i crescenti attacchi all’istruzione. In diverse città hanno avuto luogo scontri tra manifestanti e polizia. A Milano, la polizia è stata mobilitata con violenza contro i sostenitori di CGIL e FIOM, sindacati che hanno stretti legami coi Democratici di Renzi.
A Roma e Pisa i manifestanti hanno occupato gli aeroporti per diverse ore; a Napoli hanno bloccato le vie di accesso autostradali e un tunnel per un giorno intero e a Palermo hanno occupato il campus studentesco della città.
A Roma, i lavoratori di Telecom Italia e i conduttori degli autobus cittadini hanno scioperato e partecipato alle manifestazioni; al Colosseo alcuni conduttori sono saliti sui ponteggi e hanno srotolato striscioni di protesta contro la privatizzazione del trasporto pubblico richiedendo il ripristino di due colleghi, licenziati recentemente dopo che avevano riportato alla televisione alcuni casi di cattiva amministrazione al loro posto di lavoro.
Al nord, la polizia ha attaccato brutalmente i manifestanti, usando gas lacrimogeni e manganelli, ferendo decine di persone.?A Padova, la polizia ha usato i manganelli per proteggere la sede del Partito Democratico dai manifestanti infuriati. Il giorno prima, il 13 novembre, i Democratici avevano espresso il loro sostegno al Jobs Act di Renzi.
La CGIL e la FIOM avevano indetto un raduno a Milano. Inizialmente, Susanna Camusso, segretario della CGIL, aveva sostenuto Renzi e le sue “riforme” e ha lavorato in stretto contatto con la Confindustria. Adesso la Camusso teme di perdere ogni controllo dei lavoratori con l’intensificazione della loro rabbia. Le proteste organizzate dalla CGIL hanno come scopo principale di consentire ai manifestanti di sfogarsi. A Milano, in Piazza Duomo, la Camusso e il suo collega Maurizio Landini della Fiom hanno fatto ogni sforzo per presentare i sindacati come organizzazioni con un certo grado di indipendenza dal governo.
Quando i sostenitori dei sindacati di base si sono avvicinati al rally e alcuni dei loro leader hanno cercato di prendere posto sul podio con la Camusso e Landini, sono stati trattenuti con la forza e respinti da attivisti dei sindacati principali. Poco più tardi, si sono verificati violenti scontri con la polizia.
Il primo ministro Renzi ha risposto alle proteste con arrogante disprezzo; prima di partire per il vertice dei G20 in Australia, ha detto alla stampa: “Non mi faccio fermare dal pantano.”
Il capo del governo è sotto forte pressione da parte delle banche e dell’UE per abolire le rimanenti conquiste sociali della classe lavoratrice italiana. Il prodotto interno lordo si è nuovamente ridotto nel terzo trimestre, dello 0, 1 per cento e, venerdì scorso, l’ufficio statistiche ISTAT a Roma, ha confermato che l’Italia è sempre ancora in recessione.
Per mettere ordine nel suo stesso partito, Renzi ha recentemente intensificato la propria collaborazione con il leader dell’opposizione Silvio Berlusoni e la sua organizzazione di destra. Mercoledì scorso, Renzi e Berlusconi, in una riunione congiunta, hanno annunciato il loro accordo su una nuova legge elettorale.
Dietro questo accordo c’è un compromesso: Renzi ha promesso a Berlusconi, il cui partito Forza Italia al momento sta crollando nei sondaggi, che non ci saranno nuove elezioni fino alla fine del 2018; in cambio, Berlusconi si è impegnato a sostenere le riforme del mercato del lavoro di Renzi, come pure la nuova legge elettorale, che promette di essere altrettanto antidemocratica quanto la vecchia. Secondo questa nuova legge, il partito che alle elezioni riceverà più del 40 per cento dei voti comunque otterrà automaticamente la maggioranza dei seggi parlamentari.
Le tensioni sociali crescenti stanno costringendo Renzi e Berlusconi a serrare i ranghi. La crisi economica e i massicci attacchi sociali degli ultimi quattro anni hanno portato disoccupazione e povertà dilaganti. Dal 2008, il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato, la riforma delle pensioni ha condannato milioni di anziani a condizioni di povertà e la disoccupazione giovanile ha raggiunto un nuovo record del 45 per cento.
Cresce la rabbia dei lavoratori, degli studenti e dei giovani sia contro il Partito Democratico che contro le organizzazioni sindacali tradizionali. Non è quindi sorprendente che l’appello dei COBAS abbia incontrato una grande risposta. Migliaia di lavoratori e studenti si sono uniti a numerose organizzazioni di rifugiati ed immigrati per partecipare alle manifestazioni del 14 novembre.
Tuttavia i sindacati di base non sono l’alternativa alle burocrazie dei sindacati ufficiali e ne condividono il programma nazionalista. Le proteste di venerdì scorso sono state dirette soprattutto contro la Germania e l’UE. A Roma, i manifestanti hanno preso di mira l’ambasciata tedesca con uova e petardi.
I lavoratori in tutta Europa si trovano ad affrontare compiti politici che possono essere risolti solo con una lotta comune, tesa alla trasformazione socialista della società. Da parte loro, i sindacati di base si fondano puramente sull’orientamento sindacale; nonostante le loro occasionali azioni militanti, il loro programma si limita a chiedere concessioni dalla classe dirigente. Sui loro striscioni, diretti contro la CGIL, tutto quello che i COBAS avevano da dire era: “Il sindacato è un’altra cosa”.