Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 6 maggio 2013
Durante le ultime settimane, negli ambienti politici e nei media, ha imperversato il dibattito sul valore dell’attuazione delle misure di austerità in Europa.?La causa delle polemiche è il rapido peggioramento della crisi economica e l’emergere di un’opposizione di massa alle politiche di austerità.
Le elezioni italiane del mese di febbraio sono state la più recente e più chiara espressione della crescente ostilità all’austerità. Il regime tecnocrate, non eletto, di Mario Monti, che aveva effettuato una serie di drastici tagli alla spesa pubblica per volere dell’Unione Europea e delle banche, ha subìto una sconfitta devastante. La destra populista del comico Beppo Grillo è stata la beneficiaria iniziale del diffuso sentimento anti-governativo, che ha esposto l’avversione di milioni, non solo verso il governo Monti, ma verso tutti i partiti tradizionali.
L’opposizione italiana contro l’austerità non è riuscita a trovare un’espressione strutturata, a causa del fallimento della cosiddetta sinistra del paese, essa riflette la situazione di altri paesi europei, in particolare Grecia, Spagna e Portogallo, dove milioni di persone sono scese in piazza negli ultimi mesi per difendere i loro posti di lavoro, diritti fondamentali e standard di vita.
Vedendo di fronte a sé il disastro economico, l’élite politica europea mostra un crescente disorientamento. I conflitti tra le singole borghesie nazionali si stanno dimostrando sempre più impossibili da risolvere e in particolare sta crescendo la critica al governo tedesco che ha svolto un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche di austerità dall’inizio della crisi economica del 2008-09.
In una discussione sulle implicazioni della politica di austerità dell’UE a Bruxelles, il 22 aprile, il presidente della Commissione Europea Manuel Barroso ha ammesso: “Sono profondamente preoccupato per le divisioni che vediamo emergere: estremismi politici e populismo lacerano il sostegno politico e il tessuto sociale di cui abbiamo bisogno per far fronte alla crisi; la disunione emerge tra il centro e la periferia d’Europa; si sta profilando una rinnovata linea di demarcazione tra il Nord e il Sud dell’Europa; stanno riemergendo i pregiudizi e dividono di nuovo i nostri cittadini, a volte sono pregiudizi nazionalistici, che sono semplicemente inaccettabili, anche da un punto di vista etico”.
I commenti di Barroso sulle crescenti tensioni in Europa, provocate dalle brutali politiche di austerità, costituiscono un devastante atto d’accusa contro le politiche perseguite dalla Commissione Europea, di cui egli è a capo.
Gli avvertimenti di Barroso sulla divisione sociale e gli sconvolgimenti in Europa hanno trovato eco in tutta la stampa europea. In una recente analisi della disoccupazione di massa in Europa, dal titolo “E all’improvviso c’è un Bang”, la Süddeutsche Zeitung ha citato un sociologo, il quale ha dichiarato che, quando la gente si sentirà sufficientemente alienata dai propri governi, l’Europa meridionale “andrà in fiamme”.
Alcuni leader politici europei, le cui politiche di austerità hanno prodotto disoccupazione di massa nei rispettivi paesi e che ora temono un’esplosione di protesta sociale, stanno cercando di prendere le distanze dalle politiche di austerità.
Nel suo primo discorso al Parlamento italiano lunedi, il nuovo premier italiano Enrico Letta ha dichiarato: “L’Italia sta morendo di consolidamento fiscale. Le politiche di crescita non possono più aspettare”. I commenti sulla stampa italiana e internazionale hanno descritto le sue osservazioni come una chiamata al cambiamento delle politiche economiche e anche contro la Germania, che è stata la forza trainante dietro l’imposizione dell’austerità in Europa.
Le parole di Letta non hanno alcun valore. Un solo giorno dopo il suo discorso in parlamento, si è recato in Germania per supplicare la Merkel per qualche riduzione degli obiettivi di spesa fissati da Berlino e dalla burocrazia europea a Bruxelles. Ha ricevuto poca attenzione dalla cancelliera tedesca, la quale ha insistito che la condizione necessaria per la crescita economica dell’Italia è di ripagare i propri debiti. Mercoledì scorso, Letta ha ripetuto il suo mantra della crescita a Parigi e Bruxelles, contemporaneamente rassicurando i suoi ospiti, Barroso e il presidente francese François Hollande, che l’Italia avrebbe rispettato il piano di rimborso del debito.
Altri capi politici europei hanno criticato il ruolo del governo tedesco nella crisi europea più apertamente.
All’inizio di questa settimana, il capo della commissione europea per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione, Laszlo Andor, ha richiesto un ripensamento sulla strategia dell’Unione europea e, in un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, ha attaccato direttamente la politica del governo tedesco come “dumping salariale”. Ha poi continuato richiedendo che la Germania introduca il salario minimo.
Egli ha ammonito che, se la Germania e gli altri stati del nord più ricchi si rifiutano di cambiare le loro politiche, “l’unione monetaria si dissolverà. La coesione politca è già andata perduta a metà”.
E in un documento sull’Europa, pubblicato venerdì scorso, il partito socialista francese ha attaccato apertamente l’"egoistica intransigenza” della cancelliera tedesca che, “in un’alleanza di convenienza” con l’attuale primo ministro britannico, ha “sfregiato” il progetto europeo. (vedi in inglese, “Amid jobs collapse, French President Hollande backs austerity in Europe")
La montante e aperta critica a Berlino, da parte di altri leader europei, è originata dalle enormi e crescenti divisioni economiche in tutto il continente. Il periodo, dalla crisi economica del 2008, ha visto non solo un’impennata dei livelli di disuguaglianza sociale nei singoli paesi, ma anche un crescente divario economico tra le economie europee.
Fondandosi su un massiccio settore a basso salario, che fu creato dieci anni fa dalla coalizione dall’ex partito social democratico col partito verde, l’economia tedesca e l’élite finanziaria hanno beneficiato profumatamente dalla crisi europea. Dal collasso del 2008 l’economia della Germania ha effettivamente ampliato il proprio PIL del tre per cento. Nello stesso periodo, l’economia francese non ha registrato alcun incremento, e il resto della zona euro ha registrato una contrazione del 5, 3 per cento.
Anche l’élite bancaria tedesca è stata in grado di realizzare enormi profitti dalla crisi. Un recente commento nel quotidiano economico tedesco Handelsblatt, ha osservato con entusiasmo: “E’ come se il paese fosse un gigantesco hedge fund, in grado di trarre profitto da un gioco dell’euro del quale noi fissiamo le regole al momento”.
L’articolo fa riferimento all’enorme flusso di capitali che si sta spostando verso la Germania, questo, combinato con i tassi di interesse quasi a zero a disposizione delle banche tedesche, agisce come “speciale programma di crescita” per il Paese.
Le classi dirigenti di tutta Europa criticano sempre più le misure di austerità dettate da Berlino, questa critica all’austerità ha lo scopo di smorzare la rabbia della classe lavoratrice e di riconvogliare il flusso di capitali verso di loro.
Le loro obiezioni a Berlino sono totalmente ciniche. Hanno votato a favore del “freno all’indebitamento” sostenuto da Berlino, che stabilisce precisi limiti sul debito nazionale e sugli obiettivi di spesa. Sono tutti concordi nella loro determinazione a rendere certo che sia la classe lavoratrice europea a pagare il pieno prezzo della crisi economica. Allo stesso tempo chiedono misure per invertire il flusso di fondi dall’Europa meridionale alla Germania.
Questo è quello che sta dietro le loro richieste di un’unione bancaria europea globale e l’introduzione di obbligazioni in euro, il che costringerebbe la Germania a sovvenzionare le economie europee più deboli. Inoltre, stanno richiedendo che Berlino sborsi più soldi per (solo di nome) programmi congiunturali e schemi di programmi di lavoro per disoccupati negli altri paesi, cosa che dal canto suo, può essere utilizzata come contentino ai loro elettorati nazionali.
Da parte sua, il governo tedesco e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble hanno chiarito che non accetteranno alcun cambiamento sostanziale all’attuale politica e uniscono le richieste di maggiori tagli di bilancio con quelle di profonde riforme strutturali, volte a trasformare l’Europa in un’economia a basso costo del lavoro.
Per quanto riguarda i cosiddetti “oppositori” dell’austerità, stanno cercando di pedalare all’indietro il più velocemente possibile. Un solo giorno dopo il suo intervento a Bruxelles, un portavoce della Commissione Europea ha esplicitamente negato che i commenti di Barroso possano essere interpretati come la fine della fase di austerità in Europa.
In Italia, la nomina di Letta del banchiere Fabrizio Saccomanni, quale suo nuovo Ministro dell’Economia e delle Finanze, è stato un chiaro segnale ai mercati finanziari che l’assalto ai salari, ai posti di lavoro e ai diritti della classe lavoratrice italiana continuerà senza sosta.
In Germania, il capo della frazione parlamentare dei socialdemocratici tedeschi, Frank-Walter Steinmeier, ha sostenuto le critiche del partito socialista francese (PS) al cancelliere conservatore tedesco, Angela Merkel. La SPD tedesca ha sempre sostenuto tutte le misure di austerità attuate dal governo tedesco.
La scorsa settimana, in una nota che ha illustrato il carattere di destra delle critiche della SPD a Merkel, Steinmeier ha sottolineato che il presidente francese (PS) è il più adatto a mettere in opera “decisioni particolarmente impopolari”, ossia, il tipo di attacchi sociali richiesti da Merkel e dalle banche.
Nessuna delle forze coinvolte nel dibattito sull’austerità offre alla classe lavoratrice una via d’uscita progressista. I socialdemocratici e i loro sostenitori nei sindacati e i gruppi di pseudo sinistra stanno offrendo i loro servizi alle banche e all’élite finanziaria, per portare avanti attacchi molto più radicali alla classe lavoratrice.
Allo stesso tempo, nel contesto della profonda recessione, la spinta all’imposizione dell’austerità sta alimentando esplosive divisioni nazionalistiche in tutta Europa. L’unica soluzione progressista della crisi è tramite l’unificazione della classe lavoratrice del continente sotto una nuova leadership socialista, in una lotta per rovesciare l’Unione Europea e le sue istituzioni e sostituirla con gli Stati Uniti Socialisti d’Europa.